CORTE DI APPELLO DI ANCONA 
                           Sezione Penale 
 
    La Corte di Appello di Ancona, nelle persone di 
    Dott. Giuseppe Luigi Fanuli - Presidente rel. 
    Dott.ssa Maria Cristina Salvia - Consigliere 
    Dott. Guido Campli - Consigliere 
    All'udienza in camera  di  consiglio  del  15  febbraio  2016  ha
pronunciato  la  seguente  Ordinanza  nel  procedimento   penale   n.
1123/2014 a  carico  di  Crinelli  Gimmelli  Colombo  Pietro  nato  a
Monteforte Irpino, il 16  gennaio  1951,  presso  l'avv.  Guidumberto
Chiocci  del  Foro  di  Pesaro,  Imputato  del  reato  di  bancarotta
fraudolenta 
    In Urbino 1° dicembre 2006 
    Con recidiva reiterata specifica infraquinquennale; 
 
                          Premesso in fatto 
 
      che il GUP del Tribunale di Urbino  rinviava  Crimelli  Gimelli
Colombo Pietro al giudizio dell'anzidetto Tribunale, in  composizione
collegiale, per rispondere, quale legale rappresentante della  s.r.l.
Colombo, del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (capo a)
o, in alternativa, del reato di  bancarotta  fraudolenta  documentale
(capo b); 
      che il Tribunale di Urbino, rilevato  che  nessuna  distrazione
era stata posta in essere, riteneva l'imputato colpevole del reato di
bancarotta fraudolenta documentale per avere indicato una giacenza di
cassa (alcune decine di migliaia di  euro)  inesistente  e  non  aver
riportato  in  contabilita'  le  somme  prelevate  per   il   proprio
sostentamento; 
      che  lo  stesso  Tribunale,  nel   procedere   al   trattamento
sanzionatorio,   in   considerazione   del   modestissimo/inesistente
pregiudizio  economico  arrecato  ai  debitori,  della   modestissima
dimensione dell'impresa e del ridottissimo  movimento  degli  affari,
riconosceva all'imputato l'attenuante ad  affetto  speciale  prevista
dal R.D. 16 marzo  1942,  n.  267,  art.  219,  u.c.  e  concesse  le
attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva reiterata e
ridotta la pena per effetto  della  suddetta  attenuante,  condannava
l'imputato  alla  pena  di  anni  due  di  reclusione,  con  le  pene
accessorie previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, u.c.;. 
      che avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione  il
P.G. presso la Corte di Appello di Ancona, denunziando la  violazione
dell'art. 69  codice  penale,  atteso  che  il  Giudicante,  anziche'
includere   l'attenuante   speciale   predetta   nel   giudizio    di
bilanciamento operato ex art. 69  codice  penale,  aveva  operato  la
riduzione  all'esito  del  giudizio  di  equivalenza  tra  attenuanti
generiche e recidiva  reiterata,  irrogando  una  pena  illegale  per
difetto, atteso che, stante il principio di cui all'art. 69  comma  4
codice penale, la pena finale non avrebbe potuto essere inferiore  ai
tre anni di reclusione; 
      che la Corte di Cassazione, con sentenza della  sezione  quinta
in data 12 maggio  -  4  luglio  2014,  ritenuta  la  fondatezza  del
ricorso,  annullava   la   sentenza   impugnata,   limitatamente   al
trattamento sanzionatorio, con rinvio alla intestata Corte di Appello
per il nuovo esame; 
      che all'odierna udienza, fissata per il giudizio di  rinvio  ex
art. 627 codice  procedura  penale  la  Corte  ritiene  di  sollevare
d'ufficio  la  questioni  di  legittimita'   costituzionale   -   per
violazione degli artt. 3, 25 comma 2 e 27 comma 3 della  Costituzione
- dell'art. 69 comma 4 codice penale, come sostituito dall'art. 3  1.
5 dicembre 2005 n. 251, nella parte in  cui  prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante dal R.D. 16  marzo  1942,  n.
267, art. 219, u.c. sulla recidiva di cui all'art. 99 comma 4  codice
penale 
 
                               Motivi 
 
 
                      Rilevanza della questione 
 
    La questione e' sicuramente rilevante nel  presente  giudizio  in
quanto, in caso di accoglimento, l'attenuante ad effetto speciale  di
cui sopra dovrebbe ritenersi prevalente  sulla  contestata  recidiva.
Recidiva sulla cui esistenza,  in  difetto  di  impugnazione,  si  e'
formato il giudicato endoprocessuale. 
    Cio' sulla base delle seguenti considerazioni: 
      la  assoluta  modestia  dei   fatti,   commessi   a   fini   di
sopravvivenza di una piccolissima attivita' d'impresa; 
      la scarsa  consistenza  della  recidiva  reiterata.  Lo  stesso
Tribunale di Urbino ha motivato  il  giudizio  di  equivalenza  delle
attenuanti generiche con la recidiva sostenendo che «il  nuovo  reato
non e' indice di specifica gravita' e di maggiore colpevolezza  o  di
maggiore pericolosita' sociale». 
    Il giudizio di prevalenza consentirebbe quindi di  applicare  una
pena inferiore a quella (minima) di tre anni di  reclusione,  imposta
dal dettato di cui all'art. 69 comma 4 codice penale 
 
             Non manifesta infondatezza della questione 
 
    La norma censurata - nell'ottica limitata di cui sopra -  appare,
anzitutto, in contrasto con  il  principio  di  uguaglianza  (art.  3
Cost.) perche'  conduce,  in  determinati  casi,  ad  applicare  pene
identiche a violazioni di  rilievo  penale  enormemente  diverso.  Il
recidivo    reiterato    implicato    in    bancarotte    fraudolente
ultramilionarie al quale siano riconosciute le circostanze attenuanti
generiche verrebbe punito con la stessa pena prevista per il recidivo
reiterato autore di episodi di  modesto  disvalore,  con  limitati  o
nulli pregiudizi concreti ai creditori: la rilevantissima  differenza
oggettiva, naturalistica,  criminologica  delle  due  condotte  viene
completamente annullata in virtu' di una esclusiva considerazione dei
precedenti penali del loro autore. 
    L'art. 219 ultimo comma R.D. 16 marzo 1942, n. 267,  prevede  una
circostanza  attenuante  ad  effetto  speciale,  che   comporta   una
riduzione della pena base (reclusione da tre a dieci anni)  «fino  al
terzo»  (non  «fino  al  massimo  di  un  terzo»:  cfr.  e  plurimis,
Cassazione penale, sez. V, 23 febbraio 2015, n. 15976), sicche',  ove
ritenuta  sussistente,  la  pena  (applicandosi  l'attenuante   nella
massima estensione) puo' variare da un minimo di 1 anno di reclusione
a un massimo di 3 anni e 4 mesi; se  pero'  si  applica  la  recidiva
reiterata, i casi di speciale tenuita', per i quali l'art.  219  u.c.
cit, prevede la pena della reclusione da un anno a tre anni e quattro
mesi, devono essere puniti con la reclusione da tre a dieci anni. 
    Come la Corte Costituzionale ha piu' volte rilevato (sentenze  n.
251 del 2012; 105 e 106 del 2014), l'attuale  formulazione  dell'art.
69, quarto comma, codice penale, costituisce il punto  di  arrivo  di
un'evoluzione legislativa dei criteri di bilanciamento, iniziata  con
l'art. 6 del decreto-legge  11  aprile  1974,  n.  99  (Provvedimenti
urgenti  sulla  giustizia  penale),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7  giugno  1974,  n.  220,  che  ha
esteso il  giudizio  di  comparazione  alle  circostanze  autonome  o
indipendenti  e  a  quelle  inerenti  alla  persona  del   colpevole.
«L'effetto e' stato quello di consentire il  riequilibrio  di  alcuni
eccessi di penalizzazione, ma anche quello di  rendere  modificabili,
attraverso il giudizio di comparazione, le cornici edittali di alcune
ipotesi  circostanziali,   di   aggravamento   o   di   attenuazione,
sostanzialmente diverse  dai  reati  base;  ipotesi  che  solitamente
vengono individuate dal legislatore attraverso la previsione di  pene
di specie diversa o di  pene  della  stessa  specie,  ma  con  limiti
edittali indipendenti da quelli stabiliti per il  reato  base»,  come
nel caso regolato dall'art. 219 u.c. cit. 
    E'  rispetto  a  questo  tipo  di  circostanze  che  il  criterio
generalizzato, introdotto con la modificazione dell'art.  69,  quarto
comma, codice penale, ha mostrato delle  incongruenze,  inducendo  il
legislatore a intervenire con regole derogatorie,  come  e'  avvenuto
con l'aggravante  della  «finalita'  di  terrorismo  o  di  eversione
dell'ordine democratico», prevista dall'art. 1 del  decreto-legge  15
dicembre 1979, n. 625  (Misure  urgenti  per  la  tutela  dell'ordine
democratico   e   della   sicurezza   pubblica),   convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6 febbraio 1980,  n.
15, e,  «in  seguito,  con  varie  altre  disposizioni,  generalmente
adottate  per  impedire  il  bilanciamento  della  circostanza   c.d.
privilegiata, di regola un'aggravante, o per limitarlo,  in  modo  da
escludere la soccombenza di tale circostanza nella  comparazione  con
le attenuanti; ed e' appunto questo il  risultato  che si  e'  voluto
perseguire con la norma impugnata» (sentenza n. 251 del 2012). 
    Il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee  consente
al  giudice  di  «valutare  il  fatto  in  tutta  la   sua   ampiezza
circostanziale, sia eliminando dagli effetti  sanzionatori  tutte  le
circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che  aggravano
la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la  diminuiscono»
(Corte cost. sentenza n. 38 del 1985). Deroghe al bilanciamento pero'
sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del  legislatore,
che sono sindacabili dal Giudice delle leggi «soltanto ove trasmodino
nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenza n. 68 del
2012),  ma  in  ogni  caso  «non  possono  giungere   a   determinare
un'alterazione  degli  equilibri  costituzionalmente  imposti   nella
strutturazione della responsabilita' penale»  (sentenza  n.  251  del
2012). 
    La circostanza attenuante prevista dalla disposizione in rassegna
si  pone  quale  temperamento  degli  effetti  delle  gravi  sanzioni
prevista per i reati fallimentari in tutti i casi in cui  gli  stessi
appaiono di speciale tenuita' avuto riguardo, nella  valutazione  del
pregiudizio  economico  arrecato  ai   creditori,   alle   dimensioni
dell'impresa, all'ammontare dell'attivo e del passivo e al  movimento
degli affari nel  loro  complesso  (cfr.,  tra  le  altre,  Cass.  n.
21353/2003; n. 5300/2009) 
    L'ordinamento penale, per alcune fattispecie di reato, prevede la
pena per le ipotesi meno gravi (e  piu'  frequenti  nella  prassi)  e
aggiunge una serie  di  circostanze  aggravanti  per  le  ipotesi  di
maggiore allarme sociale: si pensi ad  esempio  alla  disciplina  del
furto. Tutt'affatto diversa e' l'ipotesi -quale quella  in  rassegna-
in cui la legge fissa la pena  base  per  le  ipotesi  piu'  gravi  e
prevede poi circostanze attenuanti per adeguare la sanzione  ai  casi
piu' lievi  e  frequenti.  In  questi  ultimi  casi,  il  divieto  di
prevalenza  delle  attenuanti  sulla   recidiva   reiterata   produce
conseguenze  sanzionatorie  irragionevoli,  in  quanto  finisce   per
equiparare ai fini sanzionatori casi oggettivamente lievi a  casi  di
particolare allarme sociale: cosi,  mentre  l'autore  di  furti,  per
quanti furti commetta, subira', in caso  di  riconosciute  attenuanti
equivalenti, una pena edittale minima  sempre  pari  a  sei  mesi  di
reclusione, il «piccolo bancarottiere» recidivo reiterato  vedra'  la
pena detentiva edittale  minima  lievitare  da  uno  a  tre  anni  di
reclusione. 
    Sussiste, inoltre, la violazione del principio  di  offensivita',
di cui all'art. 25, secondo comma, Cost., che, con  il  suo  espresso
richiamo al fatto commesso, riconosce rilievo fondamentale all'azione
delittuosa per il suo  obiettivo  disvalore  e  non  solo  in  quanto
manifestazione   sintomatologica   di   pericolosita'   sociale;   la
costituzionalizzazione  del  principio  di  offensivita'  implica  la
necessita' di un trattamento penale differenziato per fatti  diversi,
senza che la  considerazione  della  mera  pericolosita'  dell'agente
possa legittimamente avere rilievo esclusivo. 
    E'   ravvisabile,   poi,   la   violazione   del   principio   di
proporzionalita' della pena (nelle sue  due  funzioni  retributiva  e
rieducativa), di cui all' art. 27, terzo comma,  Cost.,  perche'  una
pena sproporzionata alla gravita' del reato commesso da un  lato  non
puo' correttamente assolvere alla funzione  di  ristabilimento  della
legalita' violata, dall'altro  non  potra'  mai  essere  sentita  dal
condannato come rieducatrice: l'inflizione di tre anni di  reclusione
per condotte di modestissimo valore, chiunque ne  sia  l'autore,  non
puo' essere considerata una risposta sanzionatoria proporzionata. 
    Anche nel caso in esame, come in quelli oggetto delle sentenze n.
251 del 2012; 105 e 106 del  2014  della  Corte  costituzionale,  dal
divieto di prevalenza sancito dalla norma  censurata  derivano  delle
conseguenze manifestamente  irragionevoli  sul  piano  sanzionatorio,
assumendo particolare rilievo la divaricazione tra i  livello  minimo
di tre anni, per il primo comma dell'art. 216 r.d. cit e quello di un
anno previsto per l'ipotesi attenuata  (e  lo  stesso  vale,  mutatis
mutandis, per  la  pena  prevista  per  gli  altri  reati  a  cui  e'
applicabile l'attenuante in questione: art. 217 e 218 r.d. cit). 
    Cosi', per effetto dell'equivalenza tra la recidiva  reiterata  e
l'attenuante in questione, l'imputato viene  di  fatto  a  subire  un
aumento assai superiore a quello  specificamente  previsto  dall'art.
99, quarto comma, codice penale, che, a seconda dei  casi,  e'  della
meta' o di due terzi: il che rende evidente il vulnus  costituzionale
proprio con riferimento ai casi marginali,  di  minima  offensivita',
quale e' quello per cui e' processo.